"I ristori arrivati ai pochi fortunati sono comunque insufficienti, milioni di partite iva da un anno non producono reddito e sono sull'orlo del fallimento. Chiediamo al governo Draghi di intervenire con urgenza prima che esploda un'emergenza sociale che potrebbe avere un impatto devastante nel nostro Paese". A lanciare l'allarme è Giuseppe Palmisano, presidente dell'associazione Partite Iva Insieme per Cambiare, un movimento che su facebook raccoglie oltre 450mila iscritti.
"Siamo assolutamente contrari a qualunque manifestazione violenta che finisce soltanto per danneggiare una vastissima categoria di lavoratori onesti. Resta però il grave silenzio del governo Conte prima e quello Draghi ora, dal quale attendiamo ancora risposte rispetto ad un documento consegnato al termine della grande manifestazione pacifica che abbiamo organizzato a Roma lo scorso 10 marzo", spiega Palmisano.
Fra le principali richieste avanzate dall'Associazione Partite Iva Insieme per Cambiare l'istituzione di un fondo per la sostenibilità del pagamento degli affitti di unità immobiliari residenziali e non, il riconoscimento di contributi a fondo perduto per i proprietari di immobili che riducono il canone di locazione, la sanatoria fiscale, la garanzia di liquidità alle imprese e la moratoria in tema di rating bancario. "Abbiamo chiesto al governo Draghi un tavolo di confronto urgente per discutere le nostre proposte per combattere la grave crisi economica che ha travolto 4,6 milioni di partite iva", conclude il Presidente Palmisano.
Le moratorie tuttora attive riguardano prestiti del valore di circa 173 miliardi, a fronte di 1,6 milioni di sospensioni accordate; superano quota 152 miliardi le richieste di garanzia per i nuovi finanziamenti bancari per le micro, piccole e medie imprese presentati al Fondo di Garanzia per le PMI.
Sono questi i principali risultati della rilevazione effettuata dalla task force costituita per promuovere l’attuazione delle misure a sostegno della liquidità adottate dal Governo per far fronte all’emergenza Covid-19,
La Banca d’Italia continua a rilevare presso le banche, con cadenza settimanale, dati riguardanti l’attuazione delle misure governative relative ai decreti legge ‘Cura Italia’ e
‘Liquidità’, le iniziative di categoria e quelle offerte bilateralmente dalle singole banche alla propria clientela. Sulla base di dati preliminari, riferiti al 26 marzo, sono ancora attive moratorie su prestiti del valore complessivo di circa 173 miliardi, pari a circa il 60% di tutte le moratorie accordate da marzo 2020 (circa 280 miliardi)2 . Si stima che tale importo faccia capo a circa 1,6 milioni di richiedenti, tra famiglie e imprese. L’importo delle moratorie in essere differisce da quello delle moratorie concesse per vari motivi, tra cui il venire a scadenza di una parte di esse.
Le moratorie attive a favore di società non finanziarie riguardano prestiti per circa 130 miliardi. Per quanto riguarda le PMI, sono ancora attive sospensioni ai sensi dell’art. 56 del DL ‘Cura Italia’ per 126 miliardi. La moratoria promossa dall’ABI riguarda al momento 6 miliardi di finanziamenti alle imprese.
Sono attive moratorie a favore delle famiglie3 a fronte di Prestiti per 36 miliardi di euro, di cui 5 miliardi per la sospensione delle rate del mutuo sulla prima casa (accesso al cd. Fondo Gasparrini). Le moratorie dell’ABI e dell’Assofin rivolte alle famiglie riguardano circa 9 miliardi di prestiti.
Per la nuova tornata da 11 miliardi di euro di aiuti a fondo perduto è tutto pronto. All’appello manca soltanto la comunicazione ufficiale con cui l’agenzia delle Entrate dovrà fissare l’orario di apertura della piattaforma telematica con cui imprese, professionisti, autonomi e agricoltori, con ricavi o compensi 2019 fino a 10 milioni di euro e una flessione del fatturato di almeno il 30% nell’anno della pandemia, potranno inviare la domanda di accesso ai nuovi sostegni. Per l’invio ci saranno 60 giorni di tempo da martedì 30 marzo a venerdì 28 maggio 2021.
Pertanto non ci sarà nessun click day e, al contrario, il suggerimento che arriva dalle Entrate è di compilare correttamente il modello di domanda e soprattutto di riscontrarlo prima di schiacciare il pulsante “invio”. La recente esperienza dei ristori di luglio e di quelli di Natale, infatti, ha evidenziato come alcuni scarti delle domande di adesione siano stati dettati proprio da errori del contribuente o dell’intermediario commessi mentre si compila la domanda. Vediamo quali sono le cinque trappole da evitare per non perdere il diritto all’accredito diretto (o al credito d’imposta per chi lo preferisse).
Il limite dei ricavi
Uno dei requisiti di accesso al fondo perduto è il limite dei 10 milioni di euro di ricavi o compensi. Per non commettere errori nella determinazione del valore riferito all’anno d’imposta 2019 arrivano in soccorso i modelli della dichiarazione dei redditi presentati nel 2020. Così ad esempio una persona fisica in contabilità ordinaria potrà recuperare il dato corretto e conosciuto al Fisco, per questo a prova di errore, nel rigo «RS11», mentre per quella in contabilità semplificata il rigo di riferimento è «RG2, colonna 2». Se la persona fisica è un professionista, i compensi saranno nel quadro Re della dichiarazione Redditi e precisamente al rigo «RE2, colonna 2».
Il calcolo per chi svolge più attività
Se il contribuente che richiede l’aiuto a fondo perduto dovesse svolgere più attività il limite dei 10 milioni di euro per l’accesso al beneficio sarà dato dalla somma di ricavi o compensi riferiti a tutte le attività esercitate. Nel caso di un agricoltore o di chi svolge attività agricole cosiddette “connesse” come agriturismo o allevamento, il valore di riferimento è il volume di affari indicato nella dichiarazione Iva 2020 (campo VE50). Se poi non è tenuto alla dichiarazione Iva il valore utile da recuperare per il fondo perduto è l’ammontare complessivo del fatturato o dei corrispettivi del 2019.
L’attivazione della partita Iva e il fatturato
Oltre al tetto ai ricavi e compensi l’altro requisito è dato o dalla perdita media mensile dell’anno 2020 di almeno il 30% rispetto alla media mensile del fatturato del 2019, o dalla data di attivazione della partita Iva che deve essere successiva al 31 dicembre 2018. E spesso su questa data di attivazione gli errori di contribuenti e intermediari si moltiplicano.
L’Iban per il bonifico
Non sono state poche nel 2020 le domande scartate dall’agenzia delle Entrate per errata indicazione delle coordinate bancarie di accredito del bonus a fondo perduto. Un errore che spesso ha coinvolto soprattutto gli intermediari o quei soggetti che trasmettono domande per più contribuenti.
Come ricorda l’agenzia delle Entrate nella guida al fondo perduto del decreto Sostegni, l’errore da evitare è quello di indicare nella domanda un Iban riferito a un conto corrente non intestato al soggetto che richiede l’aiuto e indentificato con il codice fiscale. In sostanza codice fiscale e intestazione o cointestazione del conto corrente devono riferirsi allo stesso soggetto che accede al fondo perduto. Il suggerimento, per non vedersi bloccare la domanda, è quello di verificare anche con la banca o con l’ufficio postale l’esattezza dell’Iban indicato e la sua validità, ma soprattutto indicarlo correttamente.
Correzioni possibili ma a tempo
Commettere errori è certamente umano e l’Agenzia consente di porvi rimedio presentando una domanda al fondo perduto sostitutiva. Se si è sbagliato ad esempio con l’indicazione dell’Iban, piuttosto che con il codice fiscale o si è riportato un dato errato magari per una mancata rilettura della domanda prima di schiacciare il tasto invio, il tempo a disposizione per una nuova istanza non è eterno e scade comunque nei 60 giorni in cui la piattaforma di accesso è aperta e dunque fino al 28 maggio 2021.
Il Sole24ore
I limiti per l’accesso al contributo introdotto dal decreto Sostegni vanno oltre i requisiti previsti per poter fare domanda.
La prima verifica da fare per determinare se si rientra o meno nella platea di contribuenti beneficiari del contributo a fondo perduto consiste nel controllare i casi di esclusione esplicitamente indicati all’articolo 1, comma 2, del decreto n. 41 del 22 marzo 2021.
La data spartiacque del 23 marzo 2021 relativa all’apertura o chiusura della partita IVA è il primo paletto da tenere a mente. Non possono accedere al fondo perduto gli enti pubblici, al pari di intermediari finanziari e società di partecipazione.
Il contributo a fondo perduto previsto dal decreto Sostegni spetta ai titolari di partita IVA che rispettino i seguenti requisiti:
ammontare di ricavi e compensi conseguiti nel 2019 non superiore a 10 milioni di euro;
importo della media mensile del fatturato e dei corrispettivi nel 2020 inferiore almeno al 30 per cento rispetto al 2019.
Non è richiesta la verifica del calo di fatturato ai soggetti che hanno attivato la partita IVA dal 1° gennaio 2019.
Su questo punto è bene chiarire un aspetto che sta preoccupando non poco i professionisti e le aziende che dovranno predisporre le domande: c’è un incongruenza tra le istruzioni dell’Agenzia delle Entrate - secondo le quali i contribuenti che hanno aperto la partita IVA dal 1° gennaio 2019 con calo di fatturato inferiore al 30% hanno diritto al contributo minimo - e quanto previsto dal Decreto Sostegni, provvedimento nel quale, invece, risulta che il contribuente con partita IVA aperta nel 2019 e calo inferiore al 30% di fatturato ha diritto comunque al contributo pieno, anche se superiore al minimo.
In tutta Italia da Salerno fino a Milano, passando per Lecce, Roma e Modena le Partite Iva scendono in piazza per protestare contro le chiusure. Un intero popolo di lavoratori autonomi si sente abbandonato e dimenticato dallo Stato. Le Partite Iva, considerate dai politici lavoratori di serie B, dicono “basta”.
La crisi economica si è abbattuta in modo particolare sulle Partite Iva, che nel 2020 erano state addirittura escluse dai ristori, oggi le imprese e i professionisti protestano contro gli aiuti stanziati dal Decreto Sostegni, definiti “insufficienti”.
Commercianti, ristoratori, parrucchieri, piccoli imprenditori, un intero popolo di Partite Iva non riesce più ad andare avanti. I lavoratori autonomi, costretti a chiudere, senza guadagnare non riescono a portare il pane a casa. Le Partite Iva rispetto al fatidico “posto fisso” hanno meno diritti e non sono tutelati. Che cosa significa essere una Partita Iva oggi durante la crisi? Sputnik Italia ha raggiunto per un’intervista Giuseppe Palmisano, presidente dell’Associazione Partite Iva Insieme per Cambiare.
— Giuseppe Palmisano, qual è stato l’impatto della crisi sulle Partite Iva?
— L’impatto è stato molto doloroso, si stanno vedendo ora tutti i risultati. La gente sta impazzendo, la gente si sta addirittura suicidando, la gente non riesce più a portare il pane a casa. La situazione economica è diventata critica. Noi come Associazione Partite Iva Insieme per Cambiare rappresentiamo tutte le categorie possibili e immaginabili: dal piccolo professionista all’impresa sotto casa, al fruttivendolo, all’azienda di un certo livello, al piccolo artigiano e al rappresentante. È tutto fermo. Tutte le categorie sono messe male, non hanno più liquidità all’interno delle loro aziende. E la pandemia non è ancora finita, ancora fa danni. Siamo chiusi. Al governo Draghi abbiamo chiesto già determinate cose.
— Basta con le chiusure pazze, non si può più andare avanti così. Ci vogliono maggiori indennizzi alle attività colpite, ci vuole un piano di rilancio dell’economia. Serve un drastico calo del carico fiscale, non si può parlare di tassazione a questi livelli se poi non riparte l’economia. Serve un condono fiscale dove chiediamo anche di premiare i virtuosi, è giusto che chi ha pagato fino ad oggi meriti qualche premio. Non parliamo poi della moratoria dei rating bancari, ora tutti chiuderanno i bilanci e andranno in banca a depositarli. Stiamo arrivando all’esasperazione.
La Partita Iva non è più in grado di andare avanti. Ci hanno etichettati tutti in un modo strano. Abbiamo molto a cuore la tutela dei lavoratori autonomi che oggi non esiste per niente. Chiunque si sia ammalato, qualsiasi donna che fa un lavoro autonomo fino all’ultimo giorno di gravidanza lavora, le altre madri invece fin dal primo giorno, magari con una gravidanza a rischio, si mettono in malattia e rientrano quando lo Stato dà loro questa possibilità. Nessuno oggi ha avuto la coscienza per mettere in atto delle misure per le Partite Iva. La nostra situazione è peggiorata sempre più. Dobbiamo riprenderci la dignità.
— Che cosa significa oggi essere Partita Iva rispetto al passato?
Come Partite Iva non c’è più quell’euforia che c’era negli anni ’80. Nella Partita Iva vedevi la persona grande, la persona di un certo valore. Oggi una persona di un certo valore è quella che ha un impiego di posto fisso. Il mitico Checco Zalone nel suo film comico ne parla, ha mostrato la realtà di tutti i giorni: oggi è diventato importante avere un posto fisso e non una Partita Iva.
Ricordiamoci però che dietro una Partita Iva ci sono tante famiglie che mangiamo, c’è anche il dipendente della Partita Iva che non ha gli stessi diritti del dipendente pubblico. Il dipendente pubblico continua ad oggi ad avere stipendio e tutto quanto, i nostri dipendenti invece stanno facendo fatica anche a recuperare la cassa integrazione, fra l’altro molto più bassa di quello che doveva essere.
Ci sono discriminazioni che a lungo andare non vanno più bene. Dobbiamo cercare di cambiare la situazione. Chi ci doveva rappresentare fino ad oggi non l’ha fatto. Abbiamo creato la nostra associazione perché vogliamo rappresentare bene le Partite Iva. Così le Partite Iva non scappano dall’Italia. Chi ha un certo volume d’affari va in un altro Paese per pagare meno tasse. Chi è più piccolo se la prende sempre in un posto. Questo non va bene.
— Draghi non ha segnato nessuna discontinuità in questo senso?
Per il momento non ha fatto né bene né male, già dai segni però che sta dando si vede che non prende tanto a cuore le Partite Iva. In questo momento però le Partite Iva continueranno a sparire. Se vediamo i dati di quanti hanno gettato la spugna o di quanti si sono suicidati il quadro è allarmante. Le persone perdono la dignità. Oggi avere un’azienda che da un giorno all’altro deve chiudere non è una cosa bella.
— La vostra protesta quindi continua?
Sì, noi non condividiamo il discorso che fa Draghi per quanto riguarda la cancellazione delle cartelle esattoriali per un periodo limitato al 2015. In quel caso significa agevolare alcune persone e danneggiarne altre. Per riprendere tutto quanto è necessario affrontare il tema della sanatoria fiscale che non può riguardare tutti i debiti tributari pregressi senza discriminazione. La limitazione della sanatoria solo per il 2015 apparirebbe incomprensibile oltre che illegittima poiché riserverebbe trattamenti diversi a situazioni analoghe.
Ci vuole la possibilità che le persone paghino quanto è possibile in modo sostenibile con dilazioni magari anche prolungate a 10-15 anni. La persona non deve essere vittima, non si possono accumulare continuamente debiti su debiti. Occorre una disciplina della transazione fiscale.
Dobbiamo cogliere l’occasione per semplificare tutte queste procedure. Bisogna fare ripartire queste persone, solo in questo modo lo Stato recupererebbe parte delle imposte. Se non fanno altro che inviare nuove cartelle, alla fine il tutto è molto dispersivo.
Noi chiediamo la moratoria del rating bancario, tutti ora cadranno nella trappola del rientro del fido. Qui serve che lo Stato metta a disposizione la fideiussione dell’impresa, la banca non può decidere se sei affidabile o meno. Con tutte le chiusure di quest’anno i bilanci saranno rastrellati del tutto. Chiediamo di cambiare metodo con le Partite Iva.
— Lo Stato vi tratta come dei lavoratori di serie B a vostro avviso?
Noi non ce l’abbiamo con gli impiegati pubblici, ma questi hanno avuto un aumento di stipendio, e non si è pensato a tutte le Partite Iva che stanno morendo di fame. O siamo i fessi della situazione oppure le cose devono cambiare. Gli immobili ereditati dai genitori le Partite Iva se li stanno giocando ora, sa chi se li sta comprando? Gli impiegati pubblici!
In cima alle priorità degli aiuti previsti dal governo Draghi nel Decreto Sostegni appena varato ci sono le imprese: ben 11 miliardi di euro dei 32 a disposizione andranno alle aziende messe in crisi dalle misure restrittive a contrasto del Covid-19, in quest’anno di epidemia. In conferenza stampa il presidente del Consiglio ha dichiarato di partire con le erogazioni il prima possibile, già a partire dall’8 aprile. Ma alle dirette interessate non basta.
Decreto Sostegni, la delusione di imprenditori e partite Iva: il commento di Confesercenti
Tramite la voce di Confesercenti le imprese hanno infatti fatto sentire il loro dissenso per le misure contenute nel nuovo provvedimento: “Ennesima, grave delusione per gli imprenditori. Complessivamente – e ancora una volta – le risorse assegnate dal DL Sostegni per le imprese sono assolutamente insufficienti: anche considerando le tranche di contributi a fondo perduto arrivati lo scorso anno, si copre meno del 7% del fatturato perso dalle attività economiche nel solo 2020.
“Non solo: non arriveranno prima di fine aprile, e non c’è assolutamente niente per il primo trimestre del 2021, che invece di portare la pronosticata ripresa, ha visto aggravarsi ulteriormente l’emergenza delle imprese, ormai esasperate” scrive così l’associazione di categoria.
Secondo quanto previsto dal decreto, 11 miliardi andranno alle aziende e ai titolari di partita Iva con fatturato fino a 10 milioni, che hanno registrato una diminuzione del fatturato medio mensile di almeno il 30% tra il 2020 e il 2019.
Gli aiuti ammontano a un minimo 1000 euro per le persone fisiche e 2000 euro per le persone giuridiche per un massimo di 150mila euro. A seconda delle dimensioni delle aziende interessate i sostegni saranno ripartiti in 5 fasce di ricavi dal 60% delle perdite per le più piccole al 20% per le più grandi.
Soluzioni che però non convincono gli imprenditori. “Lo scorso anno la pandemia ha causato la perdita di oltre 300 miliardi di fatturato, come accertato dall’Agenzia delle Entrate. Sommando le risorse stanziate dal Decreto Sostegni a quelle distribuite precedentemente, si arriva appena 22 miliardi. Una cifra insufficiente a coprire pure i costi fissi: secondo le nostre stime servirebbero ancora altri 18 miliardi di euro anche solo per recuperare una soglia minima del 10% delle spese.” è il commento di Confesercenti.
“Una scarsità di risorse inaccettabile e che è evidente soprattutto per le imprese familiari, in media di minori dimensioni: sommando tutti i ristori, un’attività che fatturava 100mila euro nel 2019 e ne ha persi 80mila nel 2020 otterrà in tutto tra i 6 e i 7mila euro. E se per caso non avesse ricevuto le prime tranche, perché esclusa dal codice Ateco, riceverebbe in tutto appena 4mila euro: il 5% delle perdite” hanno spiegato ancora dall’associazione di categoria.
Decreto Sostegni, la delusione di imprenditori e partite Iva: i lavoratori autonomi
Sulla stessa linea, anche il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli che vede sul decreto ancora “forti limiti” così come la presidente del Colap, in rappresentanza delle partite Iva Emiliana Alessandrucci: “Le partite Iva – ha detto – sono state escluse ingiustamente dai ristori l’anno scorso e ora ci troviamo nella situazione in cui alcuni soggetti hanno preso doppi e tripli ristori mentre gli autonomi rimangono solo con questo sostegno. Per molte microimprese che non sono rientrate tra i beneficiari degli aiuti pubblici questo contributo, che sarà intorno ai 1.000 euro, risulta assolutamente iniquo”
(Qui Finanza)
Sostenere l'associazione manifesta la volontà di coesione, in modo da poter fare gruppo e tutelare gli interessi comuni delle partite iva. Questa adesione è completamente gratuita. Insieme siamo più forti.
Diventare socio vuol dire avere la possibilità di cambiare, di scegliere e di guardare la realtà economica con occhi diversi. Un investimento per il futuro delle partite iva.
Riduzione del prelievo fiscale e contributivo al 30-35% globale per le imprese di ogni categoria, con un minimo fisso
Abolizione studi di settore, ISA con determinazione del reddito analitico
Revisione statuto contribuente e sua effettiva applicazione
Riduzione aliquote IVA
Reddito minimale di imprese con 15-20.000,00 euro per un periodo di 2 anni da integrare in caso di mancato raggiungimento a carico dello Stato
Riduzione contributi lavoratori dipendenti e autonomi tramite l’abbassamento delle pensioni d’oro e sprechi pubblici
Sistema di protezione del reddito in caso di malattie o altri problemi gravi del lavoratore autonomo
Applicazione di imposte in modo uguale per i paesi membri della Comunità Europea e Web Tax al commercio online
Eliminazione acconti Iva e altre imposte dirette
Lotta alla burocrazia, revisione sistema agevolazioni creditizie alle imprese
Tracciabilità dei prodotti Made in Italy
Innalzamento limite contanti a 10.000,00 €, abolizione obbligo del POS e delle ganasce fiscali, impignorabilità dei conti correnti